SANT’AGOSTINO DI IPPONA

Sant'Agostino d'Ippona

Sant'Agostino d'Ippona

Agostino nacque a Tagaste il 13 novembre, 354. Tagaste, oggi Souk-Ahras, a circa 60 miglia da Bona (l’antica Ippona), a quel tempo era una piccola città libera nella Numidia proconsolare. Anche se rispettabile, la sua famiglia non era ricca, e suo padre, Patrizio, uno dei decurioni della città, era ancora pagano. Tuttavia, grazie alle virtù mirabili della moglie Monica, egli venne battezzato e morì di morte santa verso l’anno 371.

Agostino ricevette una educazione cristiana. Sua madre lo arruolò tra i catecumeni. Una volta, molto malato, chiese il battesimo, ma, superato il pericolo, rimandò la ricezione del sacramento, cedendo così ad una deplorevole usanza dei tempi. La sua frequentazione con uomini di preghiera lasciò impresse nella sua anima tre grandi idee: la Provvidenza Divina, un aldilà con punizioni terribili e, soprattutto, Cristo Salvatore.

Ma una grande crisi intellettuale e morale soffocò per un certo tempo tutti questi sentimenti cristiani. Patrizio, orgoglioso del successo di suo figlio nelle scuole di Tagaste e Madaura, decise di mandarlo a Cartagine, per prepararsi ad una carriera forense. Purtroppo, ci vollero vari mesi per raccogliere i mezzi necessari, e Agostino passò il suo sedicesimo anno di età a Tagaste in un ozio che fu fatale per la sua virtù, poiché in quel periodo egli si dette senza riserve ai piaceri terreni. Inizialmente egli pregava, ma senza il sincero desiderio di essere ascoltato, e quando raggiunse Cartagine, verso la fine dell’anno 370, numerose circostanze lo portarono a continuare la sua vita dissoluta: le tante seduzioni della grande città, ancora semi pagana; la licenziosità degli altri studenti; i teatri; l’ebbrezza del suo successo letterario; un desiderio di primeggiare, anche nel male. Dopo poco tempo fu costretto a confessare alla madre Monica che aveva una relazione peccaminosa con la persona che gli diede un figlio – “il figlio del suo peccato”.

A partire dall’età di diciannove anni, Agostino manifestò il genuino desiderio di cambiare vita. Infatti, nel 373, un’inclinazione del tutto nuova si manifestò nella sua vita, indotta dalla lettura di Cicerone. Agostino, che aveva sempre considerato la retorica come una semplice professione, cominciò a comprenderne i principi filosofici.

Purtroppo, la sua fede, così come i suoi costumi, dovevano passare attraverso una crisi terribile. In questo stesso anno, 373, Agostino e il suo amico Onorato caddero nelle insidie del manicheismo. Agostino era affascinato dalla irresponsabilità morale derivante da una dottrina che negava la libertà e attribuiva la commissione del reato a fattori esterni.
Una volta entrato a far parte di quella setta, Agostino si dedicò ad essa con tutto l’ardore del suo carattere. Il suo proselitismo furioso coinvolse anche il suo amico Alipio e Romaniano, il suo mecenate di Tagaste, l’amico di suo padre che si era addossato le spese degli studi di Agostino. All’epoca, egli era ancora studente a Cartagine.

Conclusi i suoi studi, anziché iniziare la professione forense, preferì dedicarsi alla carriera di letterato, e Possidio ci dice che Agostino tornò a Tagaste ad insegnare grammatica. Il giovane professore affascinava i suoi allievi, uno dei quali, Alipio, appena più giovane di lui, sarebbe stato poi battezzato con lui a Milano, per diventare poi vescovo di Tagaste, sua città natale.
Poco dopo Agostino si recò a Cartagine, dove continuò ad insegnare retorica. Dopo aver preso parte ad una gara poetica, che vinse, il proconsole Vindiciano pubblicamente gli conferì la “corona agonistica”.

Fu in questo momento di “ebbrezza” letteraria, quando aveva appena completato il suo primo lavoro sull’estetica (ad oggi irreperibile) che cominciò a ripudiare il manicheismo, che aveva abbracciato per circa nove anni.

Ma la crisi mistica di questa grande anima si risolse solo in Italia, sotto l’influenza di Ambrogio. Nel 383 Agostino, all’età di 29 anni, si recò in Italia ma, appena arrivato a Roma, si ammalò gravemente. In seguito fece domanda per una cattedra vacante a Milano, che ottenne, e fu accolto dal prefetto, Simmaco. Dopo una visita al vescovo Ambrogio, il fascino di quel santo lo indusse a partecipare regolarmente alla sua predicazione.

Tuttavia, prima di abbracciare definitivamente la fede cristiana, nei successivi tre anni Agostino subì il fascino di altre filosofie: la filosofia degli Accademici, in un primo momento, poi la filosofia neo-platonica.

Monica, che si era unita al figlio a Milano, lo voleva indurre a sposarsi con la madre del figlio Adeodato, ma Agostino rifiutò e i due si separarono.

Infine, attraverso la lettura della Sacra Scrittura, la luce divina penetrò nella sua mente. Ben presto egli si rese conto che Gesù Cristo è l’unica via per la verità e la salvezza. Un colloquio con Simpliciano, futuro successore di S. Ambrogio, nel quale questi narrò ad Agostino la storia della conversione del celebre retore neo-platonico, Vittorino (Confessioni VIII.1, VIII.2), spianò la strada al grande colpo di grazia che, all’età di trentatré anni, lo avrebbe colpito nel giardino di Milano (settembre 386). Pochi giorni dopo Agostino, malato, approfittò delle vacanze autunnali per dimettersi dalla sua cattedra, e si recò con Monica, Adeodato, e altri suoi amici a Cassiciaco, la tenuta di campagna di Verecondo, per dedicarsi alla ricerca della vera filosofia che, per lui, era ormai inseparabile dal Cristianesimo.

Agostino acquistò gradualmente familiarità con la dottrina cristiana, e nella sua mente la filosofia platonica si fondeva con i dogmi rivelati. Nella solitudine di Cassiciaco, Agostino realizzò un sogno a lungo accarezzato. Nel suo libro “Contro gli Accademici”, Agostino ha descritto la serenità ideale di questa esistenza, animata solo dalla passione per la verità. Egli completò la formazione dei suoi giovani amici, ora con sessioni di lettura collettiva, ora con conferenze filosofiche alle quali talvolta era invitata anche Monica, e che furono poste a base dell’opera “Dialoghi”.

Licenzio, figlio di Romaniano, nelle sue “Lettere” avrebbe poi ricordato queste deliziose mattine e serate “filosofiche”, in cui Agostino era solito sviluppare una discussione elevata a partire da circostanze comuni. I temi preferiti di Agostino erano la verità (Contro gli Accademici), la vera felicità nella filosofia (Vita felice), l’ordine provvidenziale del mondo e il problema del male e, infine, Dio e l’anima (Soliloqui, Sulla immortalità dell’anima).

Qui si inserisce una questione curiosa proposta dalla critica moderna: Agostino era cristiano mentre scriveva a Cassiciaco i “Dialoghi”? Fino ad poco tempo fa, nessuno storico ne aveva dubitato, poiché, basandosi sulle “Confessioni”, tutti ritenevano che il ritiro di Agostino avesse il duplice scopo di migliorare la sua salute e prepararlo al battesimo. Tuttavia, alcuni critici sostengono oggi di aver scoperto una radicale opposizione tra il filosofico “Dialoghi”, composto in questo ritiro, e lo stato d’animo descritto nelle “Confessioni”.

Ma questa interpretazione dei “Dialoghi” non resiste alla prova dei fatti. E’ accertato che Agostino ricevette il battesimo nella Pasqua dell’anno 387, e sembra inverosimile attribuire ad una invenzione successiva la scena nel giardino di Milano, la lettura di San Paolo, la conversione di Vittorino, l’estasi di Agostino nella lettura dei Salmi. Per concludere, è sufficiente leggere i Dialoghi per rendersi conto di come essi contengano tutta la storia della formazione cristiana di Agostino. Già nel 386, la prima opera scritta a Cassiciaco ci rivela il grande motivo di fondo delle sue ricerche. L’oggetto della sua filosofia è la ricerca di una autorità a sostegno della ragione, che lui riscontra nell’“autorità di Cristo”.

Sebbene sia innegabile per chiunque abbia letto le opere di S. Agostino negare l’esistenza di una influenza del neo-platonismo nella mente del grande Dottore della Chiesa, tuttavia essa non lo spinse mai a sacrificare il Vangelo a favore di Platone.
Egli ha altresì sconfessato un buon numero di teorie neo-platonica che lo avevano in un primo momento tratto in inganno: egli aveva sempre rimproverato i platonici, come dice molto bene Schaff (Sant’Agostino, New York, 1886, p. 51), di essere ignoranti, o comunque di rifiutare i punti fondamentali del cristianesimo: “primo, il grande mistero, il Verbo fatto carne, e poi l’amore, che poggia sulla base dell’umiltà “.

Sant'Agostino d'Ippona

Sant'Agostino d'Ippona

Verso l’inizio della Quaresima, 387, Agostino si recò a Milano e, con Adeodato e Alipio, prese il suo posto tra i “competentes”, venendo battezzato da Ambrogio il giorno di Pasqua, o perlomeno durante il tempo pasquale. Fu in quel momento che Agostino, Alipio, e Evodio decisero di ritirarsi in solitudine in Africa. Agostino rimase a Milano fino all’autunno, continuando a scrivere le sue opere: “Sulla immortalità dell’anima” e “Sulla musica.” Nell’autunno del 387, mentre stava per imbarcarsi ad Ostia, Monica morì. In tutta la letteratura non ci sono pagine più sentite rispetto a quelle in cui Agostino narrò il sentimento che lo legava alla santa donna e il suo dolore per la perdita della madre (Confessioni IX). Agostino rimase alcuni mesi a Roma, impegnato principalmente a confutare i manichei. Navigò verso l’Africa dopo la morte del tiranno Massimo (agosto 388) e, dopo un breve soggiorno a Cartagine, ritornò nella sua nativa Tagaste. Subito dopo esservi giunto, egli iniziò a vendere tutti i suoi beni e a dare il ricavato ai poveri. Lui e i suoi amici si ritirarono nella sua tenuta, che era già stata venduta, per condurre una vita comune in povertà, in preghiera e studiando le Sacre Scritture. Il libro delle “Domande LXXXIII” è il frutto delle lezioni, tenute in questo ritiro, durante il quale egli ha anche scritto il “De Genesi contra Manichæos”, il “De Magistro,” e il “De vera religione”.

Agostino non pensava di diventare sacerdote: per paura di essere eletto vescovo, addirittura fuggiva dalla città in cui si teneva l’elezione. Un giorno, dopo essere stato convocato ad Ippona da un amico la cui salvezza dell’anima era in gioco, stava pregando in una chiesa quando la gente improvvisamente si riunì intorno a lui, e pregò Valerio, il vescovo, di nominarlo sacerdote. Nonostante la sua ferma opposizione, Agostino fu costretto a cedere alle loro preghiere, ed venne ordinato nel 391. Il nuovo sacerdote considerò la sua ordinazione come un ulteriore motivo per riprendere la vita religiosa a Tagaste. Egli ottenne da Valerio che gli fossero messe a disposizione alcune proprietà della Chiesa, per permettergli di fondare un monastero. I cinque anni del suo ministero sacerdotale furono molto fecondi; Valerio gli concesse la facoltà di predicare, nonostante in Africa solo i vescovi potessero farlo.
L’8 ottobre del 393 Agostino, durante il Consiglio Plenario d’Africa presieduto da Aurelio, vescovo di Cartagine, venne obbligato a comporre un discorso che in seguito divenne il trattato “De fide et symbolo”.

Nel 395 fu nominato vescovo coadiutore di Ippona (assistente con diritto di successione alla morte del vescovo attuale), e divenne vescovo poco dopo. Rimase in carica fino alla sua morte nel 430. Pur avendo lasciato il suo monastero, continuò sempre a condurre una vita monastica anche nella residenza episcopale.

Poco prima della morte di Agostino, l’Africa romana fu invasa dai Vandali, una tribù guerriera. Essi arrivarono nella primavera del 430 ad assediare Ippona, e durante quel tempo Agostino si ammalò gravemente per l’ultima volta.

Possidio ci narra che uno dei pochi miracoli attribuiti a S. Agostino ha avuto luogo proprio durante l’assedio. Mentre Agostino era costretto a letto malato, un uomo venne a lui pregandolo di guarire un suo parente. Agostino rispose che se avesse avuto il potere di guarire i malati, lo avrebbe sicuramente usato su se stesso. Il visitatore, però, gli disse che gli era stato detto in sogno di recarsi da Agostino. Sentito questo, il vescovo di Ippona impose senza indugio le mani sul malato, che guarì immediatamente.

La morte di Agostino avvenne il 28 agosto 430, durante l’assedio di Ippona da parte dei Vandali. Agostino trascorse i suoi ultimi giorni nella preghiera e nella penitenza, chiedendo che i Salmi penitenziali di David fossero appesi alle pareti della sua stanza, così che lui li potesse leggere.

La tradizione indica che il corpo di Agostino fu poi trasferito a Pavia, dove si dice sia ubicato ai giorni nostri. Un’altra tradizione, invece, sostiene che i suoi resti siano stati trasferiti a Cagliari (Karalis) in una piccola cappella alla base di una collina, sulla cui sommità si trova il santuario di Bonaria.



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